Il digitale ha introdotto un nuovo modo di fruire dei testi, che porta a domandarsi cosa significhi oggi "leggere". Una riflessione dello strico del libro Roger Chartier.
[Questo articolo è tratto dalla lectio di Roger Chartier al XXIII Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri, 26 gennaio 2007]
L’immagine della navigazione in rete, divenuta così familiare, indica in modo calzante le caratteristiche di un nuovo modo di leggere, segmentato, frammentato e discontinuo. Se essa si addice ai testi in natura enciclopedica, essa rimane però turbata o disorientata dai generi la cui appropriazione presuppone una lettura continua, una familiarità prolungata con l'opera. Una delle grandi sfide dell'avvenire sta nel fatto se la testualità digitale riuscirà a superare o meno la tendenza alla frammentazione che caratterizza, al tempo stesso, il supporto elettronico e le modalità di lettura che esso propone.
Tale sfida è particolarmente viva per le giovani generazioni di lettori che sono entrati nella cultura scritta di fronte allo schermo del computer. La posta in gioco non è di poco conto, perché da essa dipende sia la possibile introduzione, nella testualità digitale, di dispositivi capaci di perpetuare i criteri classici di identificazione delle opere, che sono gli stessi su cui si fonda la proprietà letteraria, sia l'abbandono di questi criteri a beneficio di un nuovo modo di percepire e pensare lo scritto, considerato come un discorso continuo nel quale lettore taglia ricompone i testi in tutta libertà.
La testualità elettronica sarà un nuovo e mostruoso «libro di sabbia», il cui numero di pagine era infinito, che nessuno poteva leggere e che dovette essere sotterrato nei magazzini della biblioteca nazionale di via México [da Jorge Luis Borges, El libro de arena]?
O permetterà invece, grazie alle promesse che offre, di arricchire il dialogo che ogni libro intrattiene con il suo lettore?
Come lettori inventiamo la risposta ogni giorno, anche se magari non la sappiamo.